L’allarmante diffusione di condotte di violenza domestica e di genere ha portato all’adozione di numerosi interventi in ambito nazionale e sovranazionale, per il suo contrasto.
A seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul del 2011, anche il nostro legislatore si è posto l’obiettivo di combattere i fenomeni di violenza contro le donne – fisica, psicologica o economica -, creando corridoi preferenziali per i procedimenti penali e rafforzando le misure di prevenzione, come l’ammonimento del Questore, che consente alle forze dell’ordine di intervenire in maniera rapida sulla base di una semplice segnalazione, monitorando e diffidando l’autore delle condotte illecite, per evitarne la reiterazione.
L’intervento più rivoluzionario è avvenuto con la L.69/2019 “Codice Rosso”, che ha previsto un inasprimento delle pene, l’estensione di misure di protezione quali l’applicazione del braccialetto elettronico e l’accelerazione nell’assunzione delle informazioni da parte del Pubblico Ministero/polizia giudiziaria. La tutela si è poi allargata anche alla sede civile con il D.Lgs.150/2022 (Riforma Cartabia), che ha introdotto un rito speciale, applicabile ai procedimenti in cui siano allegati abusi familiari, violenza domestica o di genere nei confronti della partner o dei figli.
Dopo una breve istruttoria, il giudice civile può assumere provvedimenti in via urgente, di ordine economico o in tema di collocamento dei figli, coordinandosi con il giudice penale; nei casi più gravi, può adottare cautele per tutelare la sfera personale e di sicurezza della vittima, secretando il suo indirizzo di dimora se inserita in collocazione protetta.
Inoltre – anche se è già cessata la convivenza-, il giudice civile può adottare ‘Ordini di protezione’ allo scopo di impedire condotte aggressive perpetrate dentro e fuori la casa familiare, stimolando l’intervento dei servizi sociali del territorio e prevedendo il divieto di avvicinamento alla persona offesa per l’autore degli abusi.
Nonostante queste riforme vadano nella direzione di un travaso istantaneo di informazioni tra giudice penale e civile, i fenomeni di violenza sono tutt’altro che diminuiti e continua a registrarsi, in media, un femminicidio ogni tre giorni. Le denunce sono aumentate, ma è ancor alta la percentuale di donne che non denuncia, per timore di ritorsioni da parte dell’aggressore, per la preoccupazione del giudizio, oppure perché non sono finanziariamente autonome, o non sanno dove rifugiarsi.
Cosa possono fare, cittadini e istituzioni, per centrare l’obiettivo?
È fondamentale, innanzitutto, incentivare le attività di sensibilizzazione verso un contesto sociale, in cui le donne possano sentirsi libere e sicure di denunciare e trovino ascolto, protezione e supporto.
Bisogna migliorare le campagne di informazione, per aiutare le donne a riconoscere i segnali di violenza, far comprendere quali sono gli strumenti a disposizione e le strutture presenti sul territorio, che offrono assistenza e rifugio.
Ricordiamo alle vittime di violenza che hanno diritto ad accedere sempre all’assistenza legale gratuita, anche se il loro reddito, o quello del partner, superi i tetti fissati per l’accesso al gratuito patrocinio.